Coronavirus e contratti di locazione

Un po’ riprendendo quanto detto nel precedente articolo “Contratti e Covid-19” l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus, ormai è chiaro, colpendo direttamente le persone nella loro dimensione psicofisica, ha colpito inevitabilmente anche la società e l’economia.
Una delle principali domande che possono sorgere in questo periodo fatto di incertezze è: cosa succede ai contratti di locazione che sono in essere?


LOCAZIONE AD USO ABITATIVO
La decretazione d’urgenza non ha fornito indicazioni sulla sospensione dei canoni di locazione, questo significa che, indipendentemente dalle possibili difficoltà economiche che possono avere gli inquilini, il canone pattuito è dovuto.
La motivazione è individuabile nel fatto che, nonostante le difficoltà economiche che possono interessare gli inquilini, nulla incide sul godimento dell’abitazione che quindi prosegue senza interruzioni. Il locatore potrà quindi costituire in mora e intimare lo sfratto per morosità.

L’unica soluzione espressamente prevista dal DPCM del 18 marzo 2020 consiste nella sospensione dei procedimenti di sfratto sino al 30 giugno 2020 non solo per gli inquilini morosi a partire da marzo 2020, ma in generale per tutti coloro che hanno maturato morosità nei mesi precedenti perché la ratio della norma è prevenire il contagio ed assicurare un’abitazione presso cui rimanere.
Le uniche soluzioni possibili in questo delicato periodo sono:

  • sperare in una riduzione o rateizzazione del canone derivante da gentile concessione del locatore;
  • attendere che siano emessi provvedimenti per la copertura delle morosità a sostegno della popolazione.


Cosa succede per le locazioni abitative ad uso degli studenti universitari fuori sede?

Prima di tutto è bene ricordare che il contratto per gli studenti universitari fuori sede è disciplinato nel capitolo delle locazioni transitorie della L. n. 431/1998. Esso è considerato un contratto standardizzato, previsto per i soli studenti originari di regioni diverse ed iscritti ad una facoltà universitaria nella città in cui si trova l’appartamento o comunque in un comune limitrofo.

Si tratta di un contratto particolare anche perché non può avere una durata superiore a trentasei mesi, è prevista una misura del canone prestabilita a livello locale ed è, infine, prevista la possibilità per il locatore di recedere dal contratto con un preavviso di tre mesi per gravi motivi.

Tenuto conto di queste caratteristiche è possibile dedurre che questo tipo di locazione è strettamente interconnessa con la frequenza dell’ateneo che, ad oggi, è sospesa a tempo indeterminato. Nonostante l’esodo che ha visto il rientro della maggioranza degli studenti nelle loro città di origine, l’immobile rimane nella disponibilità dello studente e quindi è opinione maggioritaria che il canone così come le spese per i consumi siano dovuti.

Anche in questo caso gli appelli ai Comuni non sono mancati ma ciò che appare più ragionevole fare è, prima di tutto, rispettare i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto in virtù dei quali sarebbe bene contattare il locatore per rappresentare le difficoltà contingenti e cercare con esso un accordo che dovrà avere la forma scritta ed essere registrato.


LE LOCAZIONI COMMERCIALI
Nemmeno i contratti di locazione ad uso non abitativo sono rimasti esenti dalle conseguenze dei DPCM emanati durante il mese di marzo per limitare la diffusione del Covid-19.
In questo caso, la sospensione dell’attività commerciale, imposta dalla decretazione d’urgenza, comporta un’automatica sospensione o interruzione del pagamento del canone della locazione dell’immobile in cui è esercitata la propria attività?
No, perché la disponibilità dell’immobile non viene meno.

Come sono gestiti quindi i canoni maturati durante il periodo di sospensione dell’attività commerciale?
Sul tema si sono formati due orientamenti:

  1. l’orientamento maggioritario sostiene la tesi secondo cui la sospensione dell’attività commerciale comporta anche la sospensione del pagamento del canone. A fondamento di questa tesi ci sarebbe l’art. 1256 c.c. che giustifica la sospensione con una temporanea impossibilità non imputabile al debitore. Tuttavia, l’impossibilità dovrà essere adeguatamente provata dal conduttore e la sospensione, per operare legittimamente, dovrà essere redatta in forma scritta e comunicata a mezzo pec o raccomandata. In capo a questa tesi, però emergono delle problematiche: questa soluzione è solo temporanea perché rinvia semplicemente il momento in cui emergeranno le difficoltà economiche e finanziare del debitore il quale si vedrà sommerso oltre che dai canoni rimasti arretrati anche da quelli nuovi;
  2. il secondo orientamento invece vuole che dalla sospensione dell’attività commerciale derivi l’interruzione del pagamento del canone. A fondamento di questa tesi è posta l’impossibilità del conduttore di ricevere la prestazione del locatore perché non può godere dell’immobile. Anche in questo caso l’impossibilità deve essere temporanea.

Ciò che accomuna queste soluzioni è che solo per una parte contrattuale sono vantaggiose mentre per la restante parte è previsto un totale addebitamento del pregiudizio.
Una possibile terza soluzione, tutelante per tutti, è convenire una rinegoziazione del canone che dovrà poi essere trasformata in una scrittura privata registrata.

Nonostante il Governo non si sia pronunciato sulla questione e abbia semplicemente indicato nel Decreto Cura Italia all’art. 65 un credito d’imposta pari al 60% per i conduttori esercenti attività commerciali sospese in immobili a destinazione catastale C\1, il Tribunale di Venezia ha fermato, in via cautelare, l’escussione di garanzia per un contratto commerciale risolto per impossibilità di adempiere a causa anche dell’emergenza sanitario in atto.
La vicenda ha mosso i suoi primi passi già prima della diffusione del Coronavirus, quando Venezia è stata invasa dalle acque che hanno raggiunto un’altezza tale dal portare il Consiglio dei Ministri a dichiarare lo stato di emergenza dal 14 novembre 2019. Il secondo duro colpo ricevuto dalla città è stato l’arrivo del Coronavirus che ha causato anche la qualificazione della città come zona rossa.
Per tutti questi motivi l’adempimento del contratto è stato totalmente reso impossibile rendendo applicabile l’art. 1256 c.c.
Tuttavia, nonostante il proprietario dei locali avesse accettato la restituzione delle chiavi dei locali, aveva contestato il mancato preavviso di sei mesi e aveva dato inizio alla procedura.
Il Tribunale, curandosi della particolare situazione d’emergenza in corso, ha accolto l’istanza di misura cautelare proposta avanzata dal conduttore. Inoltre, tenuto conto della generale sospensione di tutti i procedimenti non inerenti alla tutela dei diritti della persona, viene dichiarata l’urgenza del caso di specie e viene concesso termine sino al 22 maggio 2020 per memoria sull’istanza cautelare di parte attrice.
Infine, si riserva di stabilire i modi e i tempi per la prosecuzione del caso in conformità con la normativa che è in continua evoluzione dal momento che segue l’andamento dell’epidemia.

Rimaniamo perciò in attesa di ulteriori aggiornamenti.

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