COVID-19 e aziende private: implicazioni per il datore di lavoro

L’emergenza sanitaria dovuta dal COVID-19 ha posto alcune problematiche anche nell’ambito delle aziende private. Il datore di lavoro ha acquisito un ruolo fondamentale – e delicato – nella gestione di alcune dinamiche legate proprio al Coronavirus.

In primo piano emergono due questioni fondamentali:

Cosa deve fare il datore di lavoro se uno dei suoi dipendenti contrae il COVID-19?
E cosa succede se invece uno dei dipendenti non vuole vaccinarsi? E’ legittima la sua sospensione senza retribuzione?

All’interno di questo articolo affronteremo entrambe le tematiche, mettendo in luce le soluzioni che il datore di lavoro privato ha a disposizione in conformità di quanto previsto oggi dalla legge.

Azienda privata: cosa può fare il datore di lavoro se un dipendente contrae il COVID-19

Quando un dipendente di un’azienda privata contrae il COVID-19, possono aprirsi vari scenari. Per il datore di lavoro è indispensabile conoscere tutte le varie procedure – e implicazioni – di ciascuno di questi scenari.

E’ bene però sottolineare che il datore di lavoro deve assolutamente astenersi dal raccogliere a priori – e in modo generalizzato – informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali dei propri lavoratori e dei loro contatti fuori dal luogo di lavoro.

Sinteticamente, la regola è che il datore di lavoro, nei casi di pericolo di contagio, debba immediatamente rivolgersi alle autorità sanitarie competenti, senza prendere iniziative individuali di raccolta dati o controllo sanitario.

Sul posto di lavoro un dipendente manifesta febbre e sintomi legati al COVID. Che fare?

Il datore di lavoro deve:

  • isolare immediatamente il lavoratore positivo in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria;
  • avvertire subito le autorità sanitarie competenti – oltre che i numeri di emergenza per il Coronavirus.

Se invece il dipendente inizia a manifestare i sintomi quando è a casa e non sul posto di lavoro, il datore dovrà invitare il dipendente a rimanere a casa e chiamare il proprio medico curante.

Cosa fare se un dipendente dell’azienda è positivo?

Bisogna preliminarmente sottolineare che se il soggetto è stato sottoposto al tampone molecolare ed è risultato positivo, vuol dire che è stato già isolato fuori dell’azienda. In questo caso è la stessa azienda che deve collaborare con le autorità sanitarie per individuare i “contatti stretti” avuti dal dipendente positivo. Così facendo si permette alle autorità di applicare le misure necessarie di quarantena.

Durante tutto il corso dell’indagine, il datore di lavoro può chiedere agli eventuali – e possibili – “contatti stretti” in azienda di lasciare il posto di lavoro cautelativamente. Non è infatti necessario che l’intera azienda chiuda e soprattutto che l’intero personale sia messo in quarantena.

Cosa succede se un dipendente ha avuto un “contatto stretto” con un soggetto positivo al COVID-19?

In questo caso è fondamentale per il datore di lavoro individuare il momento in cui il dipendente ha avuto il “contatto stretto” con il soggetto positivo al COVID-19:

  • se non è avvenuto negli ultimi 14 giorni, non vi è l’obbligo di prendere dei provvedimenti;
  • se è avvenuto negli ultimi 14 giorni, il dipendente dovrà essere sottoposto per due settimane a isolamento domiciliare.

In quest’ultima ipotesi l’azienda può normalmente proseguire le sue attività. Terminata la quarantena potrà accogliere nuovamente il lavoratore soltanto se durante tutto il periodo di isolamento questi non ha mai manifestato alcun sintomo. Infatti, qualora cominciasse a manifestare alcuni sintomi e risultasse
positivo, si dovrà procedere a ricostruire i suoi “contatti stretti” all’interno del luogo di lavoro.

Datore di lavoro: responsabilità in caso di contagio da COVID-19 di un dipendente

Così come previsto dal cosiddetto Decreto Cura Italia, l’Inail è andata a classificare il contagio da COVID-19 come infortunio sul lavoro. In questo modo la responsabilità grava proprio sui datori di lavoro. I datori di lavoro rischiano così di incorrere in un processo penale se un loro dipendente contra l’infezione in occasione di lavoro, ma a determinate condizioni.

Ai sensi dell’art. 2087 c.c., il datore di lavoro è infatti garante della salute e della sicurezza dei lavoratori ed “è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro”.

Il pubblico ministero può procedere esercitando azione penale nei confronti del datore di lavoro nel momento in cui emerga:

  • che il datore non ha adottato tutte quelle misure necessarie che sono richieste per prevenire il rischio del contagio da COVID-19;
  • che il contagio si è verificato sul posto di lavoro proprio a causa della mancata adozione delle misure necessarie da parte del datore di lavoro.
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No vax: come si può comportare il datore di lavoro?

Il tema è estremamente delicato quanto complesso, non essendoci ancora riferimenti legislativi.

Ad oggi infatti il green pass è ritenuto necessario per accedere ai luoghi di lavoro limitatamente a determinate categorie di lavoratori – ovvero le professioni sanitarie. Fuori da queste categorie, non è previsto dalla legge un obbligo di vaccinazione per i lavoratori. Per quest’ultimi risulterebbe quindi la libertà di non vaccinarsi e soprattutto di non avere ripercussioni all’interno del proprio rapporto
di lavoro.

Esistono però delle situazioni in cui il rifiuto del vaccino può portare – e comportare – la sospensione del lavoratore da parte del datore di lavoro. Vediamoli nel dettaglio.

Che fare se il dipendente rifiuta di vaccinarsi

L’interrogativo si pone soprattutto nel momento in cui non esiste una normativa che impone un obbligo di vaccinazione, ad eccezione del personale sanitario. La dottrina maggioritaria sostiene però la tesi per cui in realtà, una normativa in questo senso già esista.

Facciamo riferimento al già citato art. 2087 c.c.. Tale articolo impone in capo al datore di lavoro l’obbligo di proteggere e tutelare l’integrità fisica dei dipendenti.

Un altro riferimento è dato dall’art. 279 del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ai sensi di suddetto articolo si prevede che l’azienda, sentito il parere del medico competente, possa adottare delle “misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente”.

E’ possibile la sospensione del dipendente No vax?

Con la sentenza del 19 maggio 2021, il Tribunale di Modena si è pronunciato sul tema. Il Tribunale ha ritenuto legittima la sospensione, evidenziando che il dipendente è tenuto a rispettare dei precisi doveri di sicurezza, così come il datore di lavoro. Il Tribunale ha fatto riferimento alla tutela della propria salute da parte del dipendente e del rispetto nei confronti delle altre persone con cui il lavoratore
stesso entra in contatto sul posto di lavoro.

Recentemente anche il Tribunale di Roma, Sez. lav., con ordinanza del 28 luglio 2021, è intervenuta sulla medesima questione. In particolare il Tribunale ha ribadito che la sospensione del rapporto di lavoro – e quindi anche dalla retribuzione – non deve essere considerato come un provvedimento disciplinare a seguito del rifiuto della somministrazione del vaccino, anche se si tratta di un
lavoratore impiegato in attività per le quali tale non sussiste tale obbligo. Al contrario, infatti, questa sospensione è un provvedimento che il datore di lavoro può legittimamente adottare nel caso in cui:

  • il medico competente ha rilevato delle limitazioni nell’esecuzione della sua prestazione lavorativa;
  • non ci siano ulteriori attività da poter assegnare al lavoratore.

Per maggiori informazioni ti consiglio di contattare un avvocato esperto in Diritto del Lavoro.

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