Lavoro e Coronavirus

L’inosservanza delle disposizioni anti-contagio. I rischi per i datori di lavoro

Con il Decreto Rilancio e la successiva riapertura, la gestione e la prevenzione del contagio ha interessato inevitabilmente anche le aziende e in generale i luoghi di lavoro: per permettere la ripresa delle attività è stata imposta l’attuazione di Protocolli condivisi contenenti linee guida per la prevenzione del contagio da Covid-19.
Si tratta di strumenti che da un lato sono fondamentali per la salute e la sicurezza delle persone, ma che dall’altro possono rappresentare delle vere e proprie incognite per i datori di lavoro che devono darvi attuazione. Proviamo a fare un po’ il punto.


LA DECRETAZIONE D’URGENZA DEL MESE DI MARZO
A partire dal mese di marzo è stato imposto il lockdown in tutto il paese e con il DPCM dell’11 marzo 2020 è stato raccomandato alle imprese di:

  • assumere protocolli di sicurezza anti-contagio;
  • adottare dispositivi di protezione individuale nei casi in cui non fosse possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di un metro;
  • incentivare le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro.

Pochi giorni più tardi, il 14 marzo 2020, è stato emanato il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” contenente linee guida generalmente condivise per agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio negli ambienti di lavoro, dal momento che l’obiettivo principale del Governo e delle organizzazioni sindacali era permettere la prosecuzione delle attività produttive a condizione che ai lavoratori fossero garantiti adeguati livelli di protezione.
Con esso quindi, oltre a riprendere quanto stabilito dal precedente DPCM, è stato decretato che le misure di prevenzione dovessero consistere nel dovere di:

  1. informare i lavoratori, i fornitori e i clienti circa le disposizioni delle autorità;
  2. regolamentare le modalità di ingresso in azienda di lavoratori, fornitori e clienti;
  3. pulire giornalmente e sanificare periodicamente gli ambienti;
  4. imporre il rispetto delle precauzioni igieniche e dell’utilizzo dei DPI;
  5. disciplinare l’accesso agli spazi comuni dell’azienda (ad esempio spogliatoi e mense);
  6. fare proseguire la sorveglianza sanitaria.

La settimana successiva, in data 22 marzo 2020, è stato emanato un nuovo DPCM con cui è stato stabilito che “le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure (…) sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali”.
In questo modo, utilizzando il termine “rispettano”, non è più stato possibile considerare le misure di protezione e di prevenzione come delle semplici raccomandazioni ma, al contrario, queste hanno acquisito la forma di disposizioni aventi carattere obbligatorio.

Arriviamo dunque al D.L. n. 19/2020 il cui art. 2 riprende da un lato quanto stabilito in ambito di impossibilità di sospensione dell’attività produttiva e dall’altro l’obbligo di attuazione di misure idonee ad evitare assembramenti e di imporre l’utilizzo dei DPI.
In caso di violazione di queste regole, l’art. 4 stabilisce alcune sanzioni, penali e amministrative, da doversi applicare: “salvo che il fatto costituisca reato” per “il mancato rispetto delle misure di contenimento”. In questi casi, infatti, la violazione è “punita con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità”.


LA DECRETAZIONE D’URGENZA DI APRILE
Con l’arrivo di aprile, è entrata in scena l’Inail con la Circolare n. 13 del 3 aprile 2020 con cui è stata definita ed organizzata la tutela assicurativa prevista per i casi accertati di infezione da nuovo coronavirus avvenuti in occasione di lavoro (vedi il nostro recente articolo “Covid-19 è infortunio sul lavoro?).
In data 24 aprile il Governo e le Parti sociali sono nuovamente intervenuti sul Protocollo condiviso del 14 marzo apportando delle integrazioni tra cui ricordiamo una disposizione di carattere precettivo e sanzionatorio secondo cui “la mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.

Infine, il 26 aprile, con il decreto di apertura della c.d. Fase 2, è stato disposto che l’adozione di misure di protezione e di prevenzione del contagio sia obbligatoria e condizione necessaria per la riapertura delle aziende.


IL TESTO UNICO SULLA SICUREZZA E SULLA SALUTE DEI LAVORATORI

In realtà, le misure di prevenzione e di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori che sono state imposte con la decretazione d’urgenza, non sono altro che l’attuazione in forma specifica di quanto disposto dal Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il D.lgs. n. 81/2008 che prevede l’obbligo di:

  • fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;
  • informare il prima possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
  • astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato.

Anche in questo caso, la violazione dei suddetti obblighi comporta l’applicazione della pena dell’arresto da due a quattro mesi o dell’ammenda da 1.664,00 a 6.576,00 euro.

Con riferimento all’attuale emergenza sanitaria, il mancato rispetto delle disposizioni contenute nel Protocollo condiviso del 14 marzo rende applicabile l’art. 282 del TU che sanziona la suddetta violazione con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 2.740,00 a 7.014,00 euro.

Da ricordare è anche l’art. 2087 c.c. secondo cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. In questo senso quindi l’imprenditore – datore di lavoro è garante della sicurezza e della salute dei propri dipendenti perciò qualsiasi azione omissiva integra la fattispecie di reato prevista dal TU n. 81/2008.

Da ciò dunque deriva che, nel momento in cui sia provato che l’infezione da Coronavirus sia stata contratta in azienda a causa della mancata adozione da parte del titolare delle misure di sicurezza, si potrà imputare al titolare stesso la responsabilità del reato di lesioni personali e, nel caso di decesso, del reato di omicidio per colpa grave.

Come si può dare attuazione in modo efficiente a queste disposizioni?
La risposta al quesito può apparire scontata ma non è da sottovalutare.
I protocolli, avendo carattere obbligatorio e vincolante, devono essere recepiti all’interno dei luoghi di lavoro tempestivamente e, per evitare l’imputazione di qualsivoglia responsabilità alla luce di quanto citato sopra, è ragionevole a nostro avviso consigliare di adattare i regolamenti aziendali redatti in precedenza alla luce di queste nuove disposizioni o, in mancanza, redigerne di nuovi completi di tutte le misure indicate per la protezione e la prevenzione del contagio.
Perciò, consigliamo di fare riferimento a figure professionali esperte che possano preventivamente e adeguatamente offrire la propria competenza e consulenza nell’attuazione delle disposizioni previste per la riapertura così da poter ripartire con la propria attività con serenità.

———————————–

Articoli simili