COVID IN AZIENDA: DOVERI DEL DATORE

A più di un anno dall’ inizio della pandemia, considerata la ripresa delle attività in molteplici settori, è fondamentale che i datori di lavoro rimangano al passo con la continua evoluzione della normativa per gestire l’emergenza e la sicurezza dei lavoratori.

Sono infatti tutt’altro che marginali gli obblighi che gravano per realizzare la dovuta protezione dei dipendenti dal rischio di contagio.

La base di partenza rimane quanto disposto dal T.U. 81/80 e dalla previsione ex art. 2087 c.c. secondo cui, l’imprenditore, è tenuto ad adottare le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro.

A ciò, con specifico riferimento al Covid-19, si sono aggiunti numerosi Protocolli nonché le norme speciali adottate dal legislatore per la fase emergenziale.

Il quadro che ne emerge, complice anche il continuo mutare delle regole contenitive, appare spesso poco chiaro.

Per questo abbiamo voluto riassumere, senza pretesa di esaustività, alcuni dei principali adempimenti posti a carico dei datori di lavoro e consigli in relazione al Covid-19.

BUONE PRASSI DEL DATORE DI LAVORO

Si riportano di seguito le principali prassi a cui sono tenuti i datori di lavoro:

  • Aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi

Si tratta di una valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori, finalizzata a individuare le adeguate misure ed alla loro programmazione. L’aggiornamento del DVR andrebbe effettuato in considerazione del fatto che il rischio biologico correlato al Covid-19 è definibile come un rischio generico aggravato.

  • Individuazione, insieme al medico competente, dei lavoratori maggiormente esposti al rischio, anche con riferimento all’evoluzione del concetto di lavoratore fragile.
  • Previsione di protocolli sanitari e quindi predisposizione di misure di contenimento del contagio e prassi igieniche.
  • Utilizzo dei dispositivi di protezione tanto collettivi quanto individuali, con informazione e formazione a riguardo.
  • Apposizione di idonea segnaletica di sicurezza.

COSA FARE SE SI SCOPRE LA POSITIVITA’ DI UN LAVORATORE

Qualora avvenga una segnalazione di un caso positivo accertato, l’ATS procederà con una indagine epidemiologica per:

  • Individuare la fonte di esposizione
  • Identificare i contatti stretti

Se il lavoratore risulta occupato presso un’azienda, l’ATS richiederà il nominativo del medico competente o, ove questi non sia presente, verrà richiesta la piena collaborazione del datore di lavoro.

Dalla collaborazione tra ATS, medico competente e datore seguirà la definizione delle misure di protezione aggiuntive e specifiche.  Dovrà certamente procedersi con la pulizia straordinaria negli ambienti di lavoro frequentati dal caso positivo.

COSA FARE SE UN LAVORATORE E’ SINTOMATICO ED HA AVUTO CONTATTI CON UN POSITIVO

Il lavoratore sarà già noto all’ATS ed avrà l’obbligo di isolamento domiciliare.

Nel caso in cui si individui un caso sospetto non ancora segnalato, il datore dovrà invitarlo a rimanere a casa ed a contattare il proprio medico.

Lo stesso dovrà farsi in caso di lavoratore con sintomatologia potenzialmente riconducibile al Covid senza però correlazione con zone o persone a rischio epidemiologico.

COSA FARE SE UN LAVORATORE E’ IN QUARANTENA O IN SORVEGLIANZA PRECAUZIONALE

Ove possibile e previo accordo, il lavoratore potrà continuare a svolgere la sua attività mediante ricorso al lavoro da casa. In questo caso, quindi solo ove la malattia non sia conclamata, egli si vedrà esclusa la tutela previdenziale dalla malattia.

Nei casi in cui ciò non sia possibile in relazione alla natura della prestazione, il lavoratore è comunque tenuto a svolgere le attività assegnate dal datore.

TAMPONE DISPOSTO DAL DATORE DI LAVORO

L’utilizzo di tamponi può certamente costituire una misura atta a prevenire i rischi di contagio. Tuttavia, non può costituire un obbligo, occorrendo il consenso libero, specifico, espresso ed inequivocabile del lavoratore.

Solo il medico competente potrà trattare i dati personali e particolari relativi ai lavoratori.

Pertanto, il datore di lavoro dovrà attenersi alle sue disposizioni e non potrà venire a conoscenza di dati inerenti allo stato di salute dei lavoratori.

VACCINO DISPOSTO DAL DATORE DI LAVORO

Intanto, occorre premettere che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19.

Ciò vale anche in caso di espresso consenso del lavoratore che, dato lo squilibrio contrattuale, non potrà considerarsi valido.

Inoltre, al datore di lavoro non è neppure concesso di chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati. Egli potrà solo assumere giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni da parte del medico competente.

In assenza di una disposizione legislativa che faccia chiarezza sul punto, ad oggi nessuna norma prevede che la vaccinazione possa essere intesa quale condizione di accesso nei luoghi di lavoro.

Ciononostante, la questione appare ancora non del tutto pacifica. Infatti, si tratta del delicato contemperamento tra il diritto di rifiutare un trattamento sanitario ed il dovere del datore di garantire la sicurezza dei lavoratori.

CONCLUSIONI

In conclusione, segnaliamo la recente ordinanza pronunciata dal Tribunale di Belluno (9 marzo 2021).

La vicenda ha riguardato alcuni infermieri e operatori di una RSA i quali, pur avendone la possibilità, hanno rifiutato di sottoporsi al vaccino anti Covid-19.

Il Giudice ha rilevato il rischio di contagio dei lavoratori e, nell’ottica di valorizzare quanto contenuto nell’art. art. 2087 c.c., ha rimarcato che il prosieguo dell’attività avrebbe comportato l’inadempimento, da parte del datore, dell’obbligo di tutelare l’integrità fisica dei lavoratori stessi.

E’ stata pertanto ritenuta legittima la decisione del datore di imporre coattivamente le ferie (retribuite).

La vicenda, che certamente non dirime i problemi in merito all’obbligatorietà o meno del vaccino, ha però il pregio di evidenziare la portata dell’art. 2087 c.c.

D’altro canto, ci si chiede: cosa sarebbe successo se non fosse stato possibile mettere i lavoratori in ferie, ad esempio perché esaurito il periodo?

Ricordiamo che, ai sensi del T.U. 81/80, in caso di inidoneità del lavoratore, espressa dal medico competente, il datore potrebbe disporne l’allontanamento temporaneo e adibirlo ad altra mansione.

E dunque, cosa accadrebbe se non vi fosse la possibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni?

In attesa dell’auspicato intervento normativo, non resta che rimanere al passo con i processi di adeguamento a tutela della salute dei lavoratori. Trattandosi di processi complessi ed in continua evoluzione, il consiglio è quello di rivolgersi ad un professionista esperto, il quale, mediante la previsione di idonei protocolli, potrà aiutare nella mitigazione del rischio di contagio.

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