Discriminazione di genere: il Gender Gap

La parità di genere è uno dei valori su cui si fonda l’UE. Nonostante ciò, esso nel contesto lavorativo trova da sempre difficile attuazione. I fenomeni di discriminazione di genere, il c.d. Gender Gap, si manifestano sia nella fase di ricerca di occupazione e di selezione del personale sia al momento dell’erogazione della retribuzione: molto spesso infatti la possibilità delle donne di partecipare al mercato del lavoro è influenzata, se non addirittura ostacolata, dalla possibilità e dalla capacità di gestire i carichi familiari e la carriera professionale.

Le predette difficoltà, talvolta, mettono la donna o una coppia davanti a un bivio: lavoro o famiglia? Carriera o realizzazione personale? Estinzione o contributo all’umanità? Già. Non possiamo non renderci conto che tutelare questo genere di situazioni significa proteggere la famiglia e l’esistenza stessa dell’uomo. E che in una società evoluta come la nostra sia difficile pensare che non si possa ottenere una realizzazione piena, personale e lavorativa, che dovrebbero essere una cosa sola, anche per la donna.


IL GENDER GAP NEL CONTESTO EUROPEO

Tramite uno studio di Eurostat, il sindacato e la Commissione europea hanno denunciato che il tasso di occupazione delle donne con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni è inferiore dell’11,5% rispetto a quello degli uomini.
Il problema delle discriminazioni di genere ha portata globale tanto che nel 2006 l’Assemblea Generale dell’ONU ha istituito la UN Entitity For Gender Equality Empowerment Of Women per raggiungere alcuni obiettivi quali:

  • realizzare l’emancipazione economica femminile
  • permettere alle donne di raggiungere standard di lavoro più elevati e più in generale
  • raggiungere la parità di trattamento la parità sul piano lavorativo sia in termini di opportunità che di remunerazione.

Uno dei recenti passi verso questo obiettivo è stato compiuto con la realizzazione del Piano di Azione 2017 – 2019 con cui sono state indicate come cause della disparità di trattamento:

  • La segregazione sul mercato del lavoro ovvero la convinzione che alcune professioni siano tipicamente femminili e altre tipicamente maschili
  • L’esistenza di stereotipi di genere.

Questi fattori portano alla creazione del c.d. effetto del soffitto di cristallo fenomeno con cui viene data la possibilità di ambire ad una carriera di prestigio senza però poi dare possibilità di accedervi concretamente.

 

IL GENDER GAP NEL CONTESTO ITALIANO
Spostando l’attenzione nel nostro contesto sociale ed economico, emerge come l’Italia si trovi circa a metà della classifica mondiale dei paesi in cui il fenomeno si manifesta.
Deve però fare riflettere la posizione occupata dal nostro paese nella classifica relativa ai soli paesi dell’Europa Occidentale: in questo contesto infatti l’Italia è fanalino di coda con Grecia, Malta e Cipro.
Dai dati infatti emerge che ciò che più penalizza la nostra posizione sono proprio gli indici relativi a:

  • la partecipazione femminile al mercato del lavoro
  • la parità salariale percepita
  • le differenze salariali stimate
  • il numero di donne occupanti professioni apicali
  • il numero di donne esercenti professioni intellettuali o tecniche.


IL GENDER PAY GAP

Accanto ai problemi di collocamento, le donne vivono anche altre difficoltà legate alle convenzioni sociali e agli stereotipi che producono conseguenze significative anche una volta trovata un’occupazione: la percentuale di donne con part-time è del 32,4% contro l’8,5% degli uomini il che comporta il 25% in meno di ore lavorate e quindi retribuite.
Questa differenza retributiva è comunemente chiamata Gender Pay Gap, cioè divario retributivo di genere.
Tra le cause di questo fenomeno la Commissione Europea individua:

  • retribuzione oraria inferiore
  • meno ore di lavoro retribuito
  • minore tasso di occupazione (ad esempio a causa di interruzioni di carriera per prendersi cura di figli o famigliari).

L’effetto è inevitabile: secondo i dati, nel 2018 la differenza retributiva fra maschi e femmine ha un valore superiore ai 2.700 euro lordi annui.


TUTELA GIUDIZIARIA

Grazie anche ai numerosi solleciti di intervento, le istituzioni sovranazionali e nazionali hanno iniziato ad attuare disegni di legge per raggiungere l’uguaglianza nel contesto lavorativo.
Questo intento, nell’ordinamento giuridico italiano, trova riscontro nel Codice delle pari opportunità, il d.lgs. n.198/2006 , il cui articolo 42, co.2 stabilisce che l’impegno statale è volto “a superare condizioni, organizzazione e distribuzione e del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera, ovvero nel trattamento economico e retributivo”.

Per quanto riguarda inoltre la tutela giudiziaria il capo III del suddetto codice da ulteriori indicazioni:

  • è possibile avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai CCNL di categoria
  • è altresì possibile promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. o dell’art. 66 del d. lgs. n.165/2001;
  • è infine possibile ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro.

In tutti e tre i casi l’onere della prova grava sulla ricorrente che deve dunque “fornire elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.
Nel momento in cui la violazione dei divieti di discriminazione viene accertata viene punita con un’ammenda del valore economico compreso tra i 250,00 euro e i 1.500,00 euro.

In conclusione, nonostante la spinta del legislatore, siamo ancora ben lontani dal raggiungere una vera e propria parità di trattamento. Infatti, è opinione condivisa, ritenere che sia necessaria una “rivoluzione culturale” per poter effettivamente raggiungere questo obiettivo mentre si rivela strumento di conferma della disparità di trattamento l’emanazione di disposizioni di legge.

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